Blanche Dael
Nata 140 anni fa avrebbe potuto crogiolarsi nello status di bottega storica. Invece i proprietari hanno deciso di puntare su ricerca della materia prima e qualità.
Senza l’Olanda forse non avremmo il caffè, almeno non come lo conosciamo noi. Fu – pare – proprio un commerciante olandese, Pieter van der Broeke, a rompere il monopolio della produzione detenuto (e gelosamente custodito per 200 anni) dallo Yemen quando trafugò una pianta dal porto di Mokha e la portò al giardino botanico di Amsterdam, intorno al 1616. E sa davvero di antico e spezie, evoca viaggi in mare e legni scuri di veliero, sfoggia vasi di vetro contenenti tesori (tè, biscotti e ciò che non ti aspetti, cartocci di arachidi, e tra poco scopriremo perché) la visita a Blanche Dael, bottega che dal 1878 si affaccia su una stradina acciottolata del centro di Maastricht. Sopra a tutto, ovviamente, c’è l’inconfondibile aroma di caffè che sprigiona dai pacchi esposti e dalle due tostatrici.
Pare di essere entrato in una di quelle bellissime botteghe storiche – ne abbiamo in tutte le nostre città e cittadine di provincia – tanto belle quanto comodamente adagiate su un passato glorioso.
Ma che le cose non stiano proprio così lo capiamo parlando con Marcel Zeegers e Baudewijn Antonissen in un retrobottega stipato di macchine e sacchi di iuta.
Quanti tipi di caffè avete?
Al momento 28, 15 monorigine e13 miscele tra cui un decaffeinato “naturale” ottenuto con lavaggi d’acqua anziché prodotti chimici, più 141 varianti di tè e le arachidi: abbiamo iniziato a tostarle dopo il caffè per ripulire la tostatrice dagli olii residui e hanno avuto un gran successo. Ora ne vendiamo 150 tonnellate l’anno.
Robusta o solo Arabica?
La Robusta è usata in due miscele che richiamano il caffè ristretto italiano, tostato scuro e a lungo. Le consigliamo sempre per l’espresso ma abbiamo alcuni clienti che le usano anche per il caffè filtro, contro il nostro parere. È una delle difficoltà del nostro mestiere: noi consigliamo ma alla fine è il cliente a decidere secondo il suo gusto. Abbiamo anche introdotto un 100% Robusta dall’Indonesia, per ristretto o cappuccino: interessante anche se non è il mio genere di caffè.
Raccontateci qualcuno dei vostri caffè
Questo Yrghasheff naturale ha tutto, lo usiamo per i caffè filtro, ha sentori di erba fresca e tè verde, accosto sempre il caffè al tè. Molta gente pensa che il caffè migliore venga dal Sud America perché il Brasile è il maggior produttore ma ce ne sono di ottimi in Africa e Indonesia e ora anche il Vietnam fa ottime arabiche. Il Costa Rica Santa Anita invece, fruttato e con note di cioccolato, è un caffè simile al vino, da meditazione, da bere come uno sherry a fine pasto.
Si sta discutendo molto di sostenibilità
Al momento abbiamo cinque caffè biologici e alcuni sia biologici sia fair trade perché pensiamo che sia il momento di sostenere i contadini pagando di più il caffè all’origine. In Guatemala e Costa Rica abbiamo costituito una fondazione che ha costruito due scuole e adottato degli studenti. Cerchiamo di innovare, il nuovo packaging è di carta biologica e compostabile, da settembre siamo plastic free. È un grande passo per una piccola azienda, siamo partiti in 25 ora siamo in 120, tra la torrefazione e le otto nostre caffetterie Coffee Lovers.
Trattate caffè speciaty?
Sì ma non sempre, sotto le feste abbiamo qualcosa di speciale come il Panama Gesha, è incredibile quanto sia buono, ma sono molto cari. Però tutti i nostri caffè crescono sopra i 2000 metri di altitudine e sono di qualità superiore, la nostra torrefazione è lenta, in modo che l’intero chicco sia tostato e facciamo tutto sotto lo stesso tetto, abbiamo il pieno controllo del prodotto.
Chi sono i vostri clienti?
Siamo in una zona di confine, metà sono stranieri cerchiamo di parlare la loro lingua, parliamo norvegese tedesco francese spagnolo, alla gente piace. Ognuno ha una sua idea di caffè: gli olandesi non amano quelli acidi e fruttati, preferiscono i sentori di cioccolato, gli italiani pensano di sapere tutto di caffè e io gli dico “dài, dimmi qualcosa che non so”.
La ricetta del successo?
Siamo un’azienda famigliare ma anche moderna, trasparente, ogni giorno proviamo a fare qualcosa di nuovo e diverso, abbiamo tanti studenti ma anche clienti regolari. Siamo locali e globali allo stesso tempo.
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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