Due continenti, tre nomi, quattro imperi. Nella città che ha fatto da porta del caffè in Europa oggi tradizione e contemporaneità convivono pacificamente
Istanbul è una città incredibile, che sembra essere a suo agio così, con i piedi in due scarpe.
È sospesa tra due continenti (l’Europa e l’Asia), tra due mondi (la tradizione e la modernità), tra due idee di religione (il laicismo e l’islam), tra due visioni del mondo (il consumismo occidentale e l’oscurantismo mediorientale). E anche nel caffè quella che ama definirsi la “Ista York”, la Grande Mela sul Bosforo, è una città bipolare. Che conosce due scene parallele, ugualmente interessanti ma che tra di loro praticamente si ignorano. Il mondo del caffè alla turca, che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio immateriale dell’umanità (cosa che in Italia si vorrebbe ottenere anche per l’espresso, ma in questo web magazine abbiamo già spiegato che cosa ne pensiamo), e quello degli specialty coffee, somministrati in locali minimalisti che quando ci stai dentro potresti essere a Londra, a Parigi, a Singapore.
Partiamo dalla tradizione, se non altro per rispetto dell’ordine cronologico. E dalla storia: Istanbul, quando era Costantinopoli, è stata una città fondamentale per la diffusione del caffè in Occidente, l’imbuto della clessidra da cui arrivavano dal Medio Oriente i chicchi destinati a beare le metropoli e a dare rifornimento alle menti che progettavano le rivoluzioni politiche e industriali. A Costantinopoli nacque – era il 1554 – anche quello che può essere considerato il primo bar della storia, aveva un nome incredibile (“La scuola delle persone colte”) che però era simbolico di quale ruolo sociale avesse all’epoca la degustazione della bevanda.
Bevanda che veniva preparata allora più o meno come oggi, con polvere di caffè macinata molto finemente e poi fatta sobbollire per tre volte in un bricco di ottone chiamato cezve (o ibrik) e bevuta in una tazza preferibilmente di porcellana dopo aver dato qualche minuto alla polvere per depositarsi sul fondo e non finire tra i denti. Nella tradizione turca, come nella nostra, il caffè si zucchera a piacere (la versione dolce si chiama “sekerli”) ma può anche essere aromatizzata con spezie come la cannella o il cardamomo. Questo tipo di caffè può essere consumato con una piccola spesa in uno qualsiasi delle migliaia di localini spesso piccoli e molto semplici che si trovano in tutta la città, più frequenti vicini alle zone commerciali e ai bazar, dove i commercianti trascorrono le pause o concludono affari importanti. Tra i locali da visitare il Mandabatmaz a Beyoglu, vicino alla Istiklal Kaddesi, la strada più animata dell’intera città, mentre la torrefazione più nota è probabilmente Kurukahveci, vicino al brulicante mercato delle spezie nella zona di Eminonu, dove a tutte le ore c’è la fila per acquistare un pacchetto profumatissimo.
Cagatay Gulabioglu
La scena contemporanea è fatta invece di luoghi molto differenti e di personaggi che girano il mondo per selezionare materie prime straordinarie e proporle ai loro clienti con estrazioni lontane dalle tradizioni. Come Cagatay Gulabioglu, una specie di leggenda vivente della “third wave” del caffè in Turchia, che dopo aver fondato (e venduto) Kronotrop ha poi cofondato il locale probabilmente più di avanguardia della città, Probador Colectiva. Altri locali dove degustare uno specialty coffee servito da qualcuno in grado di spiegare, raccontare e consigliare sono Norm, Brew Lab, Petra Coffee, Montag, Coffee Sapiens e molti altre cellule di civiltà caffeinica spersi in una megalopoli che – anch’essa – non dorme mai.
Andrea Cuomo
Giornalista
Inviato del Giornale e collaboratore di diversi periodici nel settore wine&food
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