Quali saranno gli effeti del divorzio tra Londra e Bruxelles sul commercio del caffè? In Gran Bretagna potrebbero mancare i baristi e il prezzo della tazzina crescere alle stelle
Londra l’abbiamo salutata, anche Manchester, Glasgow, Cardiff e Belfast se è per questo. Via dall’Europa una volta per tutte, con il Canale della Manica che prima sembrava un torrente e oggi è un oceano. Ma che conseguenza potrà avere nel breve periodo la Brexit sul mondo del caffè in Gran Bretagna e nel resto dell’Europa? Esiste un pericolo coffeexit?
Qualche effetto l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea l’avrà certamente anche sulla nostra bevanda preferita. E uno delle prime conseguenze potrebbe essere proprio un cambiamento tra i baristi che nei caffè britannici servono espresso e “latte”.
L’allarme lo ha lanciato Andrea Wareham, direttrice delle risorse umane per Pret-à-Manger, una grande catena di locali all’europea presenti in Gran Bretagna.
“Soltanto una domanda di lavoro su 50 fra quelle che riceviamo per fare il barista o il cameriere nei nostri caffè, proviene da un cittadino britannico”, ha detto Wareham a una commissione della camera dei Lord che studia la Brexit. Quindi considerando le maggiori difficoltà che ci saranno ora per gli europei che vogliono lavorare in Gran Bretagna le cose sono due: o i giovani sudditi di Sua Maestà scopriranno la vocazione per la macchina per l’espresso o sarà più difficile trovare un caffè a Londra e zone limitrofe.
Un caffè della catena Pret-à-Manger
Ma ci sono effetti ben più notevoli, le cui conseguenze sono tuttora abbastanza oscure ma che di certo non aiuteranno il mercato britannico di caffè. Secondo il portale Allegra World Coffee gli operatori del settore da anni lanciano l’allarme sulle conseguenze che la Brexit avrà sul comparto. Il Ceo di Allegra, Jeffrey Young, è convinto che la crescita dell’industria del caffè, comunque piuttosto sensibile, sarebbe stata negli ultimi anni in doppia cifra annua se non ci fosse stata l’ombra del divorzio tra Londra e Bruxelles. Il problema principale è quello del prezzo, che nel caso del caffè come commodity è legato al dollaro americano; la sterlina deprezzata dall’ansia da Brexit ha inevitabilmente influito sul costo della materia prima importata dall’estero, fosse verde o tostata, che si è naturalmente riverberata sul costo della tazza per il consumatore finale.
E le cose non miglioreranno se i negoziati che sono partiti dopo l’ufficializzazione della Brexit tra Londra e Bruxelles si concluderanno con un “no deal”, ovvero senza un accordo soddisfacente che faccia da paracadute. In questo caso gli interscambi tra il Regno Unito e il resto del Vecchio Continente tornerebbero a essere soggetti alle regole del World Trade Organization e il caffè importato dall’Ue sarebbe soggetto a una tariffa del 7,5 per cento (e del 9 per il caffè istantaneo), il che ovviamente avrebbe un altro effetto negativo sul prezzo finale, penalizzando ovviamente maggiormente le piccole compagnie, che poi sono quelle che lavorano spesso la materia prima di maggiore qualità. Se infatti la voce più importante dell’import di caffè da parte della Gran Bretagna è il caffè verde che arriva dal resto del mondo (175mila tonnellate per un valore di 398 milioni di sterline), se si sommano le importazioni dall’Ue di caffè tostato e solubile porta a un valore di 516 milioni di dollari. I tre partner principali di Londra sono Francia, Germania e Italia.
Insomma, sono in arrivo tempi duri per gli amanti del caffè sudditi di Elisabetta. Andiamo a prenderci un caffè, mister Johnson?
Andrea Cuomo
Giornalista
Inviato del Giornale e collaboratore di diversi periodici nel settore wine&food
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