
Come non si può pensare di pagare un Barolo come una Bonarda,
i caffè non possono avere lo stesso prezzo, perché, semplicemente,
non sono tutti uguali.

“Siamo disposti a pagare 1000 euro per uno smartphone, 100 euro per il biglietto di un concerto (scusate ma non me ne farò mai una ragione, 100 euro per star schiacciati e sudati in uno stadio sotto il sole con un braccialetto come portafogli sono troppi, ecco), per non parlare della scarpa firmata o del gambero di vattelapesca. Ma la tazzina di caffè no, quella non può aumentare. Pena alzata di scudi delle associazioni di consumatori, interpellanze parlamentari, editoriali virulenti e “ah signora mia dove andremo a finire. Vi ricordate il passaggio dalla lira all’euro? La pietra dello scandalo fu proprio il prezzo della tazzina, arrivata a costare ben un euro. Peggio della zucchina, altra grande incriminata.
È un po’ vero che in Italia il caffè è una necessità: lo bevono più di nove italiani su dieci, dà il ritmo alle nostre giornate, ci consente una pausa scevra da recriminazioni al lavoro, una scusa per vedere un vecchio amico, o un amante, e sopra a tutto da il “la” a ogni santa mattina. Il prezzo del caffè è preso addirittura come parametro di economicità. Chi cerca donazioni o clienti assicura: vi costerà come un caffè al giorno. Come dire poco, pochissimo, certo, un euro. Ancora.

Eppure il caffè si meriterebbe di più. Perché è bevanda complessa e dalle mille tipologie, qualità, sfumature. Spesso i coinnosseurs la associano al vino, con il quale condivide molti profili aromatici ma con una differenza: se il vino ne conta 400, il caffè ne ha addirittura 800. meno persistenti e quindi più difficili da cogliere, ma senz’altro che donano una amplissima gamma di possibilità, a seconda del Paese di provenienza, della tipologia ma anche del terroir.
E dunque i prezzi al sacco variano eccome, le arabiche più pregiate possono costare anche dieci volte un’arabica standard per non parlare della meno pregiata e assai meno complessa Robusta. Pretendereste di pagare un Barolo come una Bonarda, o vi stupite che una bottiglie di Chianti possa costare 2 euro o 45? In Italia un bar dalla vendita di caffè e caffetteria ricava il 30% del fatturato complessivo, che però non bastano, ove all’estero c’è chi vive di solo caffè.
Il pezzo fisso intorno a un euro di certo non aiuta la qualità. E nemmeno i contadini che lo coltivano, e che spuntano ormai prezzi talmente bassi da non riuscire nemmeno a coprire i costi di raccolta. Si tratta di 25 milioni di persone che rischiano la fame, in Paesi con economie povere e spesso sull’orlo del conflitto, interno o esterno. Un buon caffè deve essere anche un caffè “buono”, tracciato e che sia stato giustamente pagato a chi l’ha coltivato.
Fino a quando persisteremo nel pensiero del caffè unico, estratto con negligenza e senza sapere cosa sia e da dove venga, fare il salto sarà difficile, perché diciamolo: per alcuni caffè che si vedono in taluni bar un euro è perfino troppo.

Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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